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Da delfino di Beppe Grillo ad alfiere di Mario Draghi:
vita, opere e conversioni di Luigi Di Maio

L' excursus politico dell'ex ministro degli Esteri che, con la crisi 
del governo, lascia il Movimento 5 Stelle e prima fonda "If "(Insieme per il Futuro), poi, con il sottosegretario Bruno Tabacci, lancia Impegno civico,
partito ad hoc per le elezioni del 25 settembre. Con un'ape nel simbolo

di Marco Barone e Diego Laudato | 16 Luglio 2022

esercitazione in aula

Il bibitaro che ce l’ha fatta. Quanti titoloni di questo tipo abbiamo visto negli anni accompagnare le vicende legate a Luigi Di Maio? Eppure oggi l’attuale ministro degli Esteri ha le spalle coperte di chi ha saputo conquistarsi una dignità istituzionale mai veramente raggiunta da qualsiasi altro esponente del Movimento 5 Stelle, al netto della parabola pandemica di Giuseppe Conte. Una differenza ormai sempre più marcata, culminata infine nella clamorosa scissione che ha portato Di Maio ad abbandonare i pentastellati per fondare il proprio gruppo parlamentare: Insieme per il Futuro. Un twist politico e personale inimmaginabile fino a poco tempo fa, attraverso cui il politico campano campione dell’antisistema si è trasformato oggi nel garante della «statura e della credibilità dell’Italia». Da delfino di Beppe Grillo ad alfiere di Mario Draghi, insomma. Un colpo di mano degno del più tipico gattopardismo italiano, che di fatti gli consegna a pieno titolo lo status di uomo delle istituzioni.

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La carriera politica di Di Maio prende il via come rappresentante degli studenti, prima nel suo liceo di Pomigliano e poi durante l’esperienza universitaria – mai conclusa – presso la Federico II. Ma è l’incontro con il Movimento a segnare indelebilmente la sua storia e non solo. Quello con i 5 Stelle è senza dubbio alcuno uno dei matrimoni più prolifici della politica italiana: la base per un’ascesa che ha visto la creatura di Grillo diventare il partito più votato d’Italia e Di Maio venire più volte nominato ministro. Un consenso così ampio non è stato di certo frutto del caso.

Attraverso un restyling radicale della retorica politica, i pentastallati hanno di fatti saputo conquistarsi il favore degli elettori italiani. Dagli scandali internazionali dei membri del governo, alla crisi economica mondiale, si sono accreditati come elemento di rottura di un sistema partitico che aveva deluso indistintamente tutti, da destra a sinistra. E non a caso hanno fatto leva su un sentimento profondamente anti-sistemico che andava impadronendosi di una parte sempre maggiore del paese.

Di Maio è cresciuto in questo clima, sposando a pieno il progetto politico di Beppe Grillo. I cavalli di battaglia dei 5 Stelle, dall’Italexit all’anti-atlantismo, passando per il limite dei due mandati sino all’impeachment del presidente della Repubblica, nascono dall’incontro tra il comico genovese e quello che è unanimemente considerato l’ideologo del Movimento: Gianroberto Casaleggio. I due fondatori hanno trovato una chiave che fosse finalmente in grado di dare risposte nuove al generale malcontento degli italiani. Il loro scopo dichiarato era avviare un progetto che fosse poi in grado di reggersi sulle proprie gambe. Le incursioni di Grillo negli anni successivi hanno mostrato in realtà quanto la sua presenza abbia continuato ad avere un peso notevole nei momenti cruciali della storia del gruppo. Nel tempo, però, personalità emergenti, che non avevano mai avuto a che fare con il mondo della politica fino a quel momento, hanno potuto effettivamente fare propri i temi proposti, acquisendo sempre più rilevanza all’interno del partito. Tra queste, Di Maio è stato sicuramente colui che più di tutti ha saputo scalare i ranghi dei 5 Stelle, diventandone il volto più rappresentativo ed infine il capo politico alla vigilia delle elezioni 2018.

Quelle elezioni furono un tripudio: il M5S conquistò oltre il 32% delle preferenze, diventando il primo partito in Italia. Nonostante l’enorme successo, non raggiunsero comunque la maggioranza relativa che gli avrebbe permesso di formare da soli un esecutivo. La voglia di portare avanti il proprio programma fu però tale da farli presentare da Sergio Mattarella con un contratto di governo che portava in calce la firma di Matteo Salvini. Nacque così il Conte 1, sostenuto per l’appunto da 5 Stelle e Lega. Di Maio, che di quella coalizione si fece il principale promotore, inglobò in sé la carica di vice-premier, di ministro dello Sviluppo Economico e di quello del Lavoro e delle Politiche Sociali. Come tutti sappiamo, quell’esperienza di governo non andò a buon fine. L’alleanza con la Lega non durò a lungo e, nonostante i primi punti del patto furono rispettati, ben presto le mire di potere del segretario del Carroccio fecero barcollare il governo. Dall’afosa spiaggia del Papeete Salvini iniziò la sua offensiva politica, destinata ad essere ricordata come una delle più fallimentari della storia. Respingendo la sua richiesta di elezioni anticipate, Mattarella diede nuovamente mandato a Conte di cercare una nuova maggioranza. È a questo punto del racconto che la voglia dei 5 Stelle di stare al governo si mostrò in tutta la sua forza, spingendo il Movimento ad una delle piroette più clamorose della sua storia: dalla Lega si passò a dialogare con il Partito Democratico, a distanza di un solo anno.

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Stretta di mano fra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte

Alleato nuovo, governo nuovo. In pochi giorni si instaurò il Conte II, che significò un cambio di passo radicale nelle politiche pentastellate. Innanzitutto perché richiamava quegli inciuci sulla cui condanna tante parole erano state spese in campagna elettorale. Ma anche – e soprattutto – perché quello stravolgimento richiese un notevole sforzo di riallineamento ideologico. Se con la Lega, infatti, lo scetticismo sull’Euro (il caso di Savona al ministero dell'Economia dovrebbe dirvi qualcosa, in tal senso) e una politica estera meno atlantista e più filorussa – prima che diventasse tabù – erano punti condivisi, una coalizione con i dem non avrebbe avuto modo di esistere a partire da queste premesse. Nulla di cui preoccuparsi. A poco a poco, infatti, i 5 Stelle fecero marcia indietro su gran parte di quei temi che avevano conquistato il favore gli elettori. Anche in questo turbinio di cambiamenti, Di Maio seppe ritagliarsi il proprio spazio, divenendo di fatti uno dei traghettatori del Movimento verso questa sua nuova fase. Un'epoca caratterizzata certamente da un nuovo credito istituzionale, ma che come controparte richiese un enorme sacrificio in termini di consenso. L'appoggio elettorale dei pentastellati è infatti calato a picco negli anni di governo, passando da oltre il 32% del 2018 al minimo storico del 12% riportato dai sondaggi odierni.

 

In questo clima di cambiamento, non sono di certo mancate polemiche e conflitti anche all’interno del gruppo stesso, tutt’altro. Dal 1 Giugno 2018 ad oggi il Movimento si è contraddistinto come il partito che ha visto migrare il maggior numero di parlamentari verso altri schieramenti. Sono 116 in totale i deputati e senatori che, dopo essere stati eletti tra le fila dei 5 Stelle, hanno preferito accasarsi presso altri gruppi parlamentari. Il colpo di grazia lo ha dato lo stesso Di Maio, che ha di fatti causato il passaggio di ben 62 parlamentari pentastellati al neonato Insieme Per il Futuro. Un numero enorme di fuoriusciti, che non fa altro che confermare un trend avviato già ad inizio legislatura. Accanto al calo di consenso – e in stretta correlazione con esso – i 5 Stelle hanno fatto registrare il numero di cambi di casacca più alto della storia recente della Repubblica. Un dato che stona e non di poco con un altro dei pilastri, ormai venuto meno, su cui il Movimento aveva fondato quella retorica di coerenza e lealtà che aveva conquistato gli elettori della prima ora.

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Infografiche: la parabola discendente di M5S. A dx il numero dei fuoriusciti

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Qualche dubbio sull’identità del proprio gruppo, d'altronde, nel momento in cui si decide il passaggio da un governo con il partito – all’epoca – leader dello schieramento di centrodestra, per poi passare nella stessa legislatura ad una nuova maggioranza con il centrosinistra, può venire tanto agli elettori quanto a chi ne compone le fila tra i banchi delle camere. Se a questo si aggiunge il sostegno ad un terzo esecutivo retto da quel Mario Draghi che in quanto ex governatore della Banca di Italia, prima, e presidente della Bce poi non è di certo stato risparmiato dalla retorica anti-banche e dei poteri forti caratteristica delle prime invettive di Grillo, il quadro non può che complicarsi. Ancor di più se il nuovo premier è chiamato a sostituire quel presidente scelto che, pur provenendo dalla società civile, era diventato il simbolo della credibilità governista dei 5 Stelle. Giuseppe Conte, durante la sua presidenza giallorossa, era riuscito infatti nell’arduo compito di mantenere il paese compattato intorno alle istituzioni nel periodo più difficile della pandemia. Un risultato notevole, che gli ha permesso di avere il peso necessario in Europa per promuovere ed ottenere, per il nostro paese, il contributo economico più ingente di quell’enorme piano di sostegno alla crisi pandemica che è NextGenerationEU, che in Italia tutti ormai conosciamo come Pnrr. Nonostante questi successi, Conte non è stato poi ritenuto all’altezza di gestire l’arrivo del Recovery Fund e per questo il parlamento ha deciso di metterlo da parte. 

Diatribe e frasi celebri | Elaboraione grafica

 Risultato? Un nuovo governo appunto, il terzo della legislatura, stavolta di larghe intese, che metteva insieme tutto il precedente, coalizzando nella stessa maggioranza Movimento 5 Stelle, Pd, Lega e tutti gli altri partiti ad eccezione di Fratelli d’Italia. L’esecutivo attualmente in carica è stato fortemente voluto e supportato, tra gli altri, da un redivivo Beppe Grillo, che dopo un lungo periodo lontano dai riflettori in quei giorni si riprese prepotentemente la scena, andando personalmente a colloquio proprio con quel Mario Draghi, ex governatore della Banca d'Italia e presidente della Bce.

Ed è a questo punto della storia che il nostro Di Maio torna a far sentire la sua voce. Nel momento in cui Conte catalizzava l’enorme consenso ottenuto per la sua gestione umana e diretta della pandemia, facendosi promotore di un fronte progressista che continuasse la linea del suo secondo mandato mantenendo uniti i suoi 5 Stelle e il Pd, Di Maio rimaneva nella stanza dei bottoni, conservando il ministero degli Esteri anche nella squadra di governo presentata da Mario Draghi al presidente Sergio Mattarella. E mentre Grillo si opponeva alla leadership contiana, anche il ministro campano, sempre più membro di punta del nuovo esecutivo, non mancava di rimarcare ad ogni occasione la distanza crescente dall’ex-premier e lo scetticismo sul nuovo corso del Movimento. Dall’elezione del presidente della Repubblica alle amministrative: in pochi mesi quella tra Conte e Di Maio è diventata vera e propria guerra civile, tra le più infuocate degli ultimi tempi. Il tema che però ha di fatti chiuso ogni rapporto tra i due è quello più caro al titolare della Farnesina e riguarda, per l’appunto, la politica estera. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha stravolto ogni previsione, aprendo una nuova fase internazionale.

Il conflitto in corso nel cuore dell’Europa ha infatti modificato gli equilibri globali, ripresentando tutta la drasticità di un sistema bipolare che vede contrapposti l’Occidente alla Russia, intorno alla quale si stanno stringendo sempre più gli altri membri dei Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica). Tutto questo ha però avuto ovvie ricadute anche sul nostro paese, richiamando ogni forza politica ad una presa di posizione netta e definita sulla questione. Proprio questo punto ha allontanato definitivamente i due rappresentati di maggior peso del Movimento. Se Conte, infatti, ha assunto atteggiamenti piuttosto ondivaghi sul supporto all’Ucraina, soprattutto per quanto concerne l’invio di armi – di cui si è detto contrario, pur alla fine votando la risoluzione del governo favorevole alle esportazioni belliche – Di Maio, in qualità di ministro degli Esteri, si è ovviamente schierato totalmente in favore della linea di Draghi e del resto dell’esecutivo, di cui è a tutti gli effetti il rappresentante delegato alla questione. Proprio per questo motivo, lo spostamento di quello che per tanto tempo è stato il suo Movimento verso posizioni non in linea con quelle portate avanti dal suo dicastero ha reso la frattura insanabile. Se tra l’ex premier Conte e il ministro i rapporti non sono forse mai stati idilliaci, la partita sulla guerra russo-ucraina ha evidenziato tutta la lontananza che c’era tra una grossa fetta dei pentastellati e le posizioni del governo Draghi, di cui Di Maio è stato però fiero rappresentante. I 5 Stelle, che pure abbiamo visto vittima di scissioni e fuoriuscite sin dal 2018, non erano mai stati così divisi tra di loro. L’epilogo a questo punto non poteva che essere unico: guerra civile e scissione.

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Più dei vari Di Battista, Taverna o Crimi, Di Maio è stato pubblicamente riconosciuto come il leader più rappresentativo dei 5 Stelle. Più di tutti ne ha incarnato le battaglie identitarie, dimostrando con orgoglio di essere il più grillino tra i grillini. Qualcosa però è cambiato negli anni e il rapporto con il Movimento è andato deteriorandosi sempre più. Oggi è ormai chiaro a tutti che qualcosa si sia rotto. Insieme Per il Futuro è una scelta di campo, che va nella direzione opposta a quella perseguita finora. E non solo da Conte o dal Movimento 5 Stelle, ma anche da Di Maio stesso. L’ormai ex titolare della Farnesina non è più quello delle campagne contro l’euro, ma nemmeno quello del limite dei due mandati o dell’uno vale uno. Oggi l'ex ministro degli Esteri è uomo delle istituzioni, affidabile e moderato, che sta imparando a padroneggiare la difficile arte della politica. Uno che conosce bene il valore del merito e sa che per «ottenere un modello vincente […] abbiamo bisogno di aggregare le migliori capacità e talenti di questo paese.».

 

E Di Maio sembra averlo trovato il talento a cui affidarsi. Non sappiamo ancora nel dettaglio il suo progetto politico dove vorrà andare a parare. Secondo i sondaggi può valere tra il 2 e il 5 %.  Ma quello che invece sembra essere chiaro è l’appoggio incondizionato dell'ex ministro degli Esteri all'agenda Draghi. Del suo presidente del consiglio Di Maio ha condiviso i toni, moderati e pacati, ma anche e soprattutto i temi: rafforzamento del patto atlantico ed Europa come unica risposta possibile alla crisi pandemica e della guerra. Ne sposa in pieno la linea, insomma, ostentando la sua fedeltà anche a governo caduto. Come da lui stesso dichiarato, non c’è alcuno spazio per gli estremismi, né tantomeno per i populismi. Il rampollo di Grillo è cresciuto e ha ormai capito che il mestiere della politica è cosa seria e non può ridursi a slogan e urla che colpiscano alla pancia delle persone. Nossignore, c’è bisogno di serietà e competenza, di moderazione. Tutto questo Di Maio lo ha imparato nei corridoi dei ministeri di cui è stato a capo: quello dello Sviluppo Economico e quello del Lavoro e delle Politiche sociali, prima, e di quello degli Esteri, poi, nel mentre si susseguivano ben tre governi diversi, dalla destra radicale al centro sinistra, sino a quello di larghe intese che ha messo tutti d’accordo, lui in primis. E allora in fondo, probabilmente la lezione che Di Maio ha fatto sua più di tante altre da quando è salito al potere è quella più tipica della tradizione del buon governo all’italiana: tutto cambi affinché tutto resti uguale. Per adesso, il nostro eroe ha fatto la sua mossa ed è uscito allo scoperto, mostrando apertamente tutto il suo appoggio a Draghi. Il futuro è ovviamente incerto in vista delle  elezioni di settembre. Per l’intanto, guardiamo con attenzione a questo nuovo duo della scena politica italiana, tanto assurdo anche solo a pensarlo, pochi anni fa, ma oggi così incredibilmente concreto. Vedremo se in futuro questo revival in chiave moderna del più spinto gattopardismo all'italiana avrà infine avuto ragione e l’improbabile coppia Super Mario – Luigi riuscirà a vincere la partita delle elezioni.

Per le immagini sono state utilizzate fotografie tratte dal profilo Facebook di Luigi Di Maio / Personaggio Pubblico, Il video di Beppe Grillo è stato pubblicato da Vista agenzia televisiva parlamentare d'Italia.

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