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CULTURE & SPETTACOLI

Esercitazione in aula

Il commento

L’arte

degli sconfitti

e quel tricolore tolto per protesta

Gibellina 2.jpg
di Erika Gambino

Crepi l’avarizia, ma due candidature, una a capitale dell'arte contemporanea, l'altra a quella della cultura,  l’Abruzzo sapeva di non poterle conquistare. Non perché non le meritasse, sia chiaro. Ma perché il ministero della Cultura ha già assegnato all’Aquila il titolo di capitale italiana della Cultura 2026. Che poi il riconoscimento sia stato un regalo del Governo alla politica abruzzese di centrodestra, questo lo lasciamo dire alla pioggia di polemiche del Pd. Come la vincitrice Gibellina, anche l’Abruzzo con la sua Pescara in lizza per il premio (c’erano anche Gallarate, Carrara e Todi), ha pianto troppe vittime a causa di terremoti e altre calamità naturali (sono 309 le vittime per il terremoto dell’Aquila nel 2009). Il sindaco abruzzese Carlo Masci, dice di aver accettato il verdetto del ministero, ma mette in scena la sua protesta silenziosa. A Roma, nella sala ministeriale, dopo l’annuncio della città vincitrice, il sindaco di Forza Italia partecipa alla foto di rito con il ministro Giuli. Peccato che dimentica di indossare, a differenza dei suoi colleghi, la fascia tricolore. Fatto strano, di solito non la scorda mai in occasioni così importanti.

Città dell’arte contemporanea,
Gibellina rinasce come l’Araba fenice

Come l’Araba fenice che rinasce dalle sue ceneri, così la città di Gibellina si rialza e si lascia ammirare da tutti. Il piccolo centro siciliano nel trapanese, poco più di 3.500 abitanti, è la Capitale italiana dell’arte contemporanea per l’anno 2026. Davanti all’annuncio del ministro della Cultura Alessandro Giuli, il sindaco di Gibellina Salvatore Sutera non trattiene le lacrime e si lascia andare a un momento di commozione. «Dai momenti bui possono rinascere realtà assolutamente nuove», commenta il primo cittadino della città che nel passato ha più di una tragedia da raccontare (l’emergenza del Dopoguerra e il terremoto del Belice nel 1968, ndc). «Gibellina è una città che venne distrutta e che fu

del passato come elemento di memoria ma», spiega Albergoni, «anche, una proiezione al futuro per questo territorio». Memoria e futuro: ecco i pilastri portanti dei progetti presentati dal Comune di Gibellina e che saranno realizzati anche grazie al premio di un milione di euro assegnato dal ministero. Una memoria che guarda avanti. Così come fece Ludovico Corrao, ex sindaco della città, un visionario che, dopo il terremoto del 1968, permise al centro cittadino di rinascere, avvalendosi di grandi artisti e intellettuali. Porta la firma di Alberto Burri una delle più grandi opere che oggi si trova nella vecchia Gibellina. Il Cretto di Burri, o Grande Cretto: opera contemporanea e visionaria già da quel tempo.

 

ricostruita con una nuova visione», ricorda Sutera subito dopo la nomina, «questo riconoscimento la potrà rilanciare. Ma premiare Gibellina è anche dare un segnale, in questo momento di tante catastrofi, per dire che dai momenti bui possono rinascere realtà assolutamente nuove». Gibellina ha messo d’accordo tutti e ha saputo meglio interpretare lo spirito del riconoscimento introdotto per il primo anno dal ministero della Cultura. Tra le quattro città in lizza (c’erano Gallarate, Carrara, Pescara e Todi) ha trionfato il dossier della cittadina trapanese dal titolo “Portami il futuro”, redatto da Roberto Albergoni e dal suo team. «Non soltanto la rivendicazione territorio».

di Erika Gambino
E. G.
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Mostre

Trappole di vita, omaggio
a Daniel Spoerri

di Emanuela Altilia

Una mostra alla galleria Gaburo di Milano è stata organizzata per ricordare Daniel Spoerri, l’artista svizzero appena scomparso. Questa esposizione celebra la figura di Spoerri e il suo contributo al panorama dell’arte contemporanea con una particolare attenzione alla sua visione unica dell’arte e della vita quotidiana. Nel contesto dell’ultima cena, si concepì un’opera che rifletteva il concetto di “arte povera” in cui gli oggetti di uso quotidiano venivano trasformati in opere d’arte, questo tipo di approccio rientrava nella poetica del nuovo realismo, che proponeva una riflessione sull’arte come documento della realtà, al di fuori delle convenzioni tradizionali della pittura e della scultura. 

Il nome “ultima cena” è un riferimento alla famosa “ultima cena” di Leonardo da vinci,  mentre quest’ultima rappresenta un momento sacro e simbolico, l’ultima cena di Spoerri è un incontro completamente diverso, più profano, consumistico e terreno. La mostra non è altro che un’opportunità per celebrare la sua figura e il suo lavoro, continuando a mantenere in vita la sua eredità e il suo spirito di innovazione artistica. Spoerri è ricordato non solo per le sue opere, ma anche per aver sfidato le convenzioni dell’arte, portando il quotidiano, il banale e il consumismo nel mondo dell’arte contemporanea. 

Libri

Angela Bottari, la comunista che abrogò
il delitto d’onore: la storia diventa un romanzo

di Lavinia De Santis

In che modo Angela Bottari, politica e deputata alla Camera del Pci per tre legislature, ha contribuito all’evoluzione dei diritti delle donne in Italia? Si tratta di una questione centrale per comprendere le radici dei valori inscritti nella Carta costituzionale ed operanti nel nostro sistema politico, a cui sarà dedicata  la prossima giornata di studi per Angela Bottari, dal titolo "Diritti, Libertà, Tutele, Impegno politico e Sociale", prevista il prossimo 15 novembre alle ore 9 nell'Aula Magna del Rettorato di Messina. Dopo la scomparsa della ex parlamentare nella sua casa messinese il 14 novembre 2023, numerose iniziative sono state lanciate per commemorare il suo lascito, che continua a guidare come un filo di Arianna chi prosegue nel cammino da lei tracciato. Tra queste, il volume collettaneo “Angela Bottari. Storia di una donna libera”, pubblicato nell’agosto del 2024 ed edito da Castelvecchi, che custodisce le testimonianze e le interviste dei compagni di partito e di chi ha avuto l’onore di conoscere questa capofila di tutte e di tutti.

Dal Pci ai Ds e al Pd, Angela Bottari resterà nella storia per aver incentrato la sua intera vita sull’impegno politico, ma anche e soprattutto per essere stata prima relatrice della legge 442/81, che abrogò il matrimonio

riparatore, un odioso lascito legale del Codice Rocco di epoca fascista, che prevedeva la possibilità di estinguere la pena prevista per la violenza sessuale, se seguita dalle nozze. La stessa legge abrogava anche il delitto d’onore, che concedeva uno sconto di pena a chi commetteva un omicidio per “disonore”.

Ma già prima degli anni Ottanta – e precisamente nel 1977 – era stata lei a presentare la prima proposta di legge contro la violenza sessuale, che fino ad allora era annoverata nel codice penale italiano tra i reati contro la morale pubblica e il buon costume, richiedendo di inscriverlo per la prima volta tra i reati contro la persona.

Decisivo anche il suo contributo all’approvazione della legge 164/1982: la prima legge in Italia a consentire di cambiare sesso e nome, frutto di un serrato dibattito in un Parlamento ancora dominato dalla Democrazia Cristiana.

La memoria di questo simbolo di femminismo è dunque fondamentale se si vuole tentare di porre rimedio ad un grande vulnus del nostro sistema liberaldemocratico, ovvero  l’assenza prolungata di una legislazione chiara e inclusiva sui diritti civili: basti pensare al ritardo del Paese nel riconoscimento delle coppie gay e al lungo immobilismo parlamentare sul fine vita.

Cinema

di Lavinia Scifoni

Partiamo dalla questione di fondo: cosa vuol dire stupire? Nel suo senso letterale lo stupore è il disorientamento provocato da qualcosa di inatteso, se lo inseriamo poi in un contesto culturale, il suo significato diventa più profondo, capace addirittura di assumere forme rivoluzionarie; gli inglesi direbbero: “Ground Breaking”. Quando però lo stupore viene confuso con la provocazione è lì che appare chiaro il vuoto esistenziale della nostra epoca contemporanea.
 

Una talentuosa bartender la regista francese Coralie Fargeat che ha voluto regalarci un cocktail di disgusto e disillusione, il tutto accompagnato da un significato curioso seppur fin troppo abusato dall’industria cinematografica.

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L’attrice Demi Moore in una scena del film 

Il tema riflette il senso di inadeguatezza di una attrice di cinquant'anni (Demi Moore) che lotta contro il suo io. Mentre quest’ultima si divide tra la Elisabeth Sparkle giovane e quella matura, una voce fuori campo le ricorda di essere “una” e che - in sostanza - l’essere umano è un insieme di esperienze che non si escludono l’una con l’altra andando avanti con l’età.

Lo star system è brutale e non saremo mai stanchi di ripeterlo, ma se pensiamo a film come La Morte ti fa Bella del 1992 o addirittura romanzi come Il Ritratto di Dorian Gray, capiamo che sul tema della bellezza ci sono state regalate in passato storie più ironiche e sicuramente più profonde.

La fotografia inoltre, bizzarra ed espressiva, non regala attraverso il suo obiettivo e le sue ricostruzioni simmetriche un’idea visiva della scrittura ma si limita banalmente a copiare il gusto di altri artisti moderni.

Per non parlare poi di scene ripetute fino allo sfinimento che portano a pensare più a un disturbo ossessivo compulsivo che a una ricercatezza di stile. 

Insomma, quale dovrebbe essere secondo le premesse della regista l’obiettivo del film?

Se uniamo i pezzi del puzzle cosa ci rimane?

Stupore o repulsione?

La verità è che esiste una sottile linea che delimita questi due mondi e si chiama spessore.

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